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Lo Yogi più elevato

Seminario di Shriman Matsyavatara das Prabhu a Lucignano (Ar), 29 ottobre / 1 novembre 2011 - Tutti i giorni, al mattino presto, ci ritroviamo al mattino presto per fare meditazione sul Maha-mantra e per partecipare al programma spirituale con i canti e l'adorazione delle Divinità.
Spieghiamo alle persone che ancora non conoscono queste pratiche il loro valore per approfondire il rapporto con una dimensione, quella spirituale, che se esclusa dalla nostra vita, ci priva di un rapporto più profondo con noi stessi e della possibilità di trovare ciò che realmente può darci un benessere e una felicità duraturi, che non dipendono dagli eventi o da ciò che accade all'esterno di noi.

Le lezioni del Maestro durano dalle 10.30 alle 13 al mattino e dalle 17.30 al 19.30 nel pomeriggio. La sala dove c incontriamo è un ambiente raccolto, confortevole, con una grande vetrata che fa da parete e che ci permette di osservare il paesaggio fuori. Quante volte in questi giorni guarderemo fuori e dentro di noi, cercando di trovare all'esterno le conferme di quel che sentiamo dentro.
Guru Maharaja inizia spiegandoci gli antefatti al dodicesimo capitolo della Bhagavad-gita, dunque ci racconta in sintesi il contesto in cui avviene il meraviglioso dialogo tra Krishna e Arjuna e quel che è successo nei capitoli precedenti, in modo particolare nel decimo ed undicesimo.
Mostrando ad Arjuna la sua forma universale, come è descritto nel capitolo undicesimo, Krishna sbaraglia tutti i parametri, le sicurezze e le convenzioni di Arjuna, e allora, potremmo chiederci, qual è l'utilità di tutto questo? Quell'esperienza era stata benefica e oltremodo utile perché quella sicurezza era una sicurezza fasulla, quelle convinzioni erano frutto di una saggezza ordinaria convenzionale, che non può salvare dalla paura della malattia, della vecchiaia e della sofferenza, e infine non ci garantisce affatto nei confronti della morte. Quell'esperienza fa comprendere ad Arjuna che la morte ha proprio questo scopo nel progetto divino universale: sbaragliare tutto a chi non ha voluto vedere prima.
Il mondo così come percepito dai sensi è solo un riflesso di ciò che è reale. Come è chiara la differenza tra un oggetto e la sua ombra, altrettanto dovrebbe essere chiara la differenza tra il mondo apparente e il mondo reale. Solo se realizziamo la realtà dell'essere, oltre i baluginii del fenomenico, possiamo trovare reale sicurezza e certezza di felicità autentica. E' per questo che la ricerca spirituale, anche se accantonata di vita in vita, si ripresenta irrefrenabile e urgente ogni volta, perché siamo fatti per vivere nella realtà e non possiamo star bene nel caleidoscopico mondo dei sensi e delle apparenze.
Mentre ascolto, rapporto questi insegnamenti alla mia vita, a quello che ho scelto di fare, a come ho scelto di essere, e immagino che anche tanti altri che sono qui presenti stiano facendo la stessa cosa. Sul loro volto si legge la volontà di immergersi in un pensiero profondo, alla ricerca di ciò che davvero si desidera essere e di come davvero si desidera vivere.
Iniziamo la lettura del dodicesimo capitolo della Bhagavad-gita.
Arjuna comincia con il chiedere a Krishna chi è lo yogi più elevato. Colui che contempla l'assoluto, l'infinito, l'immortale, l'onnipotente nella sua forma impersonale, oppure chi contempla la forma personale del Divino?
Krishna definisce entrambi questi spiritualisti come dotati di siddhi o perfezioni, ma chiarisce anche che ci sono diversi gradi o livelli di perfezione.
Così come si comprende meglio il valore astratto dell'amicizia se si sviluppa un'amicizia con qualcuno e se ne fa dunque esperienza sul piano personale, così è più relativamente facile realizzare il Divino se Lo si contempla non in una forma indistinta ma nella sua natura personale. La Bhakti, che è lo Yoga dell'Amore, ci permette più facilmente di far entrare Dio nella nostra vita, di concentrare la mente e l'intelletto sulle sue qualità spirituali, di offrirgli quel che facciamo nella nostra quotidianità e soprattutto di offrirgli i nostri migliori sentimenti in uno scambio d'Amore che diventa per il Bhakta sicura, continua e crescente fonte di gioia.
Questo capitolo, ci spiega Matsyavatara das Prabhu, ci insegna come possiamo mantenere sempre Dio al centro della nostra coscienza e vivere in armonia con tutti. Ed è proprio questo il significato di Yoga: connettersi in Amore a Dio, al creato, alle creature.
Bhakti significa contemplazione, adorazione, dedizione. La dedizione permette di sviluppare la devozione, che è proprio l'essenza della Bhakti e che è insita in ogni animo. La si può risvegliare e coltivare attraverso la scienza che Krishna insegna ad Arjuna. E' la scienza dell'offerta, il cui apice è l'offerta di sé a Dio.
Il più grande pericolo e ostacolo che si incontra nel praticare la scienza della Bhakti è l'ego, con tutte le sue distorsioni, da quelle più grezze a quelle più sofisticate ma non meno dannose: egoismo, egocentrismo, egotismo.
In questo capitolo Krishna stesso spiega che Lo si può adorare in tanti modi e Guru Maharaja ci aiuta facendo degli esempi pratici: assistendo una persona sofferente, mostrando verso gli altri pietà, compassione, perdono, coltivando e praticando i valori universali. Questi valgono per tutti ma non solo: valgono anche per tutti i tempi, ma non solo! Valgono anche per tutti i luoghi!
L'Amore è il valore più universale di tutti. Ma attenzione: gli amori che hanno come protagonista l'ego sono le ali di Icaro; quando uno pensa di essere giunto in cielo, precipita. E invece l'Amore spirituale non fonde mai le sue ali, perché basta a se stesso e anche se sparisse il sole, la sua luce rimane.
Sempre di più entriamo in contatto con l'anima di questo meraviglioso dodicesimo capitolo. L'ascolto delle spiegazioni di Guru Maharaja, che rendono a tutti facilmente accessibile l'apice dell'insegnamento della Gita, ci unisce in modo profondo, indescrivibile e sorprendente. Anche chi non ha mai partecipato ad uno di questi seminari, anche chi non abbiamo mai visto prima di ora, lo consideriamo già nostro compagno di viaggio e ci sentiamo solidali nel percorso che assieme stiamo facendo.
Durante i pranzi cominciamo a familiarizzare e gradualmente sentiamo che è importante svelare agli altri parti di noi, condividere. Il sentimento che domina è quello di una affettuosa e verace solidarietà.
Ogni giorno, durante le lezioni, abbiamo la possibilità di porre domande. La Bhagavad-gita entra nelle nostre problematiche esistenziali e quotidiane e dà soluzioni reali.
Comprendiamo sempre di più che violentiamo noi stessi quando decidiamo di seguire i capricci della mente, in nome di una libertà male intesa. La dipendenza dagli istinti, dalle proprie peggiori tendenze è invero la più grande schiavitù. Invece di seguire gli istinti, è bene cominciare a seguire gli autentici Maestri.
Quando scegliamo di aderire ad una disciplina spirituale, non perdiamo la nostra libertà ma la conquistiamo. Lo Yoga permette infatti il dominio della mente, affinché si possano fare scelte consapevoli e benefiche per tutti. Dunque la spiritualità non è affatto sganciata da ciò che succede a livello sociale, anzi: è il fattore che più di ogni altro può favorire una armoniosa, costruttiva e pacifica convivenza. La via della Bhakti non è la via dell'inazione, dell'inedia o della spiritualità astratta. No, è la via dell'azione! La Bhakti è opera nel mondo, ma gli obiettivi del Bhakta non sono mondani.
Le domande permettono di approfondire temi fondamentali come: l'energetica delle frequentazioni, gli attaccamenti e le distorsioni della mente, il rapporto con le disabilità, i vari livelli di competenza spirituale, il sé spirituale e l'inconscio.
I quattro giorni di Seminario passano in fretta, fin troppo velocemente, ma la ricchezza che portano ad ognuno di noi non si può misurare in termini di tempo né con altri parametri di questo mondo: è una ricchezza che nutre l'anima.

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