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Diario del seminario sulla Bhagavad-gita: la nostalgia della perfezione

Prabhupada desh, pomeriggio del 24 aprile 2011

Anche oggi pomeriggio Shrila Gurudeva risponde alle nostre domande.

“Vivere da incarnati è come vivere sull'orlo di un abisso. Basta un attimo per sprofondarci dentro.

Una finestra sul mondo spirituale

Solo quando la coscienza si eleva grazie alla dedizione e alla devozione a Dio, si può vedere oltre le apparenze ed entrare dentro ad un'altra-alta dimensione coscienziale.

Chi è privo della ricchezza della fede, dice Krishna, non Lo raggiunge, non comprende la conoscenza sovrana.

E allora cosa possono fare coloro che non hanno fede? Dovrebbero coltivare l'umiltà e in tale stato d'animo aprirsi all'autentico ascolto. L'orgoglio è il sedimento di tutti i pregiudizi.

Quando la visione egoica cede il passo alla fede, l'Amore si risveglia. L'Amore è l'esito di innumerevoli conquiste, e la dimensione spirituale è proprio quella dell'Amore, della beatitudine, della libertà. La si raggiunge non con la mera logica, ma collegando l'intelletto al sé, a Dio (Bg. II.50).

Dentro di noi ci sono tanta bellezza, tanta dolcezza, tanto amore, ma nella vita incarnata raramente riusciamo ad esprimerli. Solo in presenza di intuizioni luminose, il Bene prorompe in noi.

Gli Shastra esortano alla perfezione. Ma come possiamo conciliare l'idea della perfezione con il fatto che errare è umano?

In questo mondo possiamo coltivare la nostalgia della perfezione, perché noi in origine siamo stati perfetti ed è per questo che adesso, anche se condizionati, sentiamo un richiamo irresistibile verso l'etica, la bellezza, l'armonia universale. Tutte le volte che agiamo in armonia con il dharma, volgendo ogni nostra azione al servizio di Dio, ci avviciniamo a quello stato originario di perfezione che corrisponde alla nostra vera natura. La perfezione è una conquista quotidiana”.

Concludiamo la giornata assistendo ad uno spettacolo teatrale che racconta la storia di Ajamila.

Qui vediamo rappresentate le due forze titaniche che governano il mondo tridimensionale: il fluire delle passioni e la morte delle stesse, da cui scaturisce la rinascita in un altro corpo creato dai desideri e il conseguente incatenamento al ciclo del samsara. In questa storia vediamo rappresentato l'Amore come apice dell'evoluzione e realizziamo come l'Amore possa essere raggiunto solo con la disciplina, la lealtà, la coerenza etica.

C'è una via per vivere e una via per morire. Una via per soffrire e una via per l'autentica felicità.

Al termine dello spettacolo Shrila Gurudeva ci dice:

“Il teatro ha valore educativo nella misura in cui lo sappiamo ricollegare alla nostra realtà. Che ognuno rifletta sulla propria storia.  Ajamila è uno di noi. Ognuno di noi può scoprirsi come Ajamila incatenato a dinamiche distruttive a seguito di memorie contaminanti che si sono accumulate nell'inconscio. Cerchiamo di non aspettare il punto di morte per liberarci da forze titaniche negative che ci portano via, nell'inferno della coscienza. Quel che Ajamila fa in punto di morte, rivolgendosi a Dio, noi dovremmo farlo in vita.

Che lo spettacolo non venga mai colto come mera estetica ma che l'estetica sia posta al servizio di quel bene supremo che è l'etica. Quando etica ed estetica operano assieme, si producono evoluzione e gioia”.

Vostra servitrice,

Madhavipriya dasi

Teatro: Storia di Ajamila

 

 

 

 

 

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