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Si può trasformare il veleno in nettare?

Matsyavatara dasa - Marco Ferrini

Da una lezione di Matsyavatara dasa

I testi della tradizione della Bhakti spiegano che le deviazioni dal retto sentiero avvengono come causa di errori ripetuti e di un'attitudine trascurata o pervicace nel compierli, così come la nostra evoluzione è il risultato di una serie sistematica di comportamenti eticamente elevati, nobili, finalizzati al nostro ed altrui puro bene. 

Una sana coscienza autocritica sempre vigile è indispensabile per progredire lungo il sentiero illuminato della liberazione..

L'aiuto e il supporto degli altri è fondamentale, poiché non sempre è facile osservarci e capire dove sbagliamo, in quanto i condizionamenti più gravi di cui soffriamo sono proprio quelli di origine inconscia.
Quando insorge un malessere, un dubbio, una pesantezza, al primo campanello d'allarme dovremmo essere capaci di prendere subito provvedimenti, come quando una spia della nostra auto ci segnala un guasto. Trascurarlo può essere letale.
E' per questa ragione che Shrila Rupa Gosvami spiega nell'Upadeshamrita l'importanza di rivelare la mente a persone dalla coscienza elevata. Perché? Perché se c'è qualcosa che in noi non va, in questo modo abbiamo la possibilità di riconoscerlo e adoperarci per risolverlo, viceversa, se ci costruiamo un muro attorno, nel buio della nostra solitudine ci incastriamo sempre più nei nostri cunicoli mentali.
Il veleno che teniamo dentro ci distrugge e poi finiamo anche per spargerlo in giro infettando altri con la nostra stessa malattia. Cercando di applicare le indicazioni di Guru, Shastra e Sadhu, è fondamentale che i devoti si curino e si proteggano l'un l'altro, non certo che si avvelenino l'un l'altro. I devoti elevati sono coloro che sanno assorbire il veleno e trasformarlo in amrita, in ambrosia.
Nella Bhagavad-gita VII.16 Krishna individua le seguenti quattro categorie di persone che possono giungere a Lui: i sofferenti, le persone che cercano di raggiungere un proprio obiettivo (la ricerca di un coniuge, un lavoro, ecc.), i curiosi, coloro che ricercano la conoscenza.
Ma che fanno i sofferenti una volta che hanno risolto la loro sofferenza con gli insegnamenti ricevuti?
Che fanno coloro che ricercavano il loro scopo dopo che l'hanno conseguito o coloro che ricercavano la conoscenza una volta raggiunta?
Abbandonano il sentiero luminoso se sono rimasti quelli i loro obiettivi e non sono riusciti nel frattempo ad innalzare la motivazione con la quale si erano immessi sul sentiero spirituale.
Ho visto tante persone venire alla Coscienza di Krishna per gli scopi esteriori più diversi. Persino la conoscenza dei Veda è da considerarsi uno scopo marginale se non viene concepita come strumentale al raggiungimento dell'unico vero obiettivo che consente la piena evoluzione dell'essere, ovvero la realizzazione dell'amore immortale per Dio ed ogni Sua creatura.
Anche la conoscenza, se non è resa strumentale allo sviluppo dell'Amore, diventa un'inutile distrazione, causa di superbia anziché di saggezza. Dunque, nel nostro percorso evolutivo per riuscire a proseguire fino alla meta, dobbiamo essere in grado di innalzare le nostre motivazioni e rinnovare sempre la consapevolezza del vero scopo del viaggio.
Dobbiamo saper ben discernere gli aspetti strumentali da quelli finalistici che sono il param gatih o scopo supremo. Caitanya Mahaprabhu definisce l'Amore come lo scopo supremo, così appagante che comprende e trascende tutti gli altri scopi, tanto che, una volta conseguito, non si ha più bisogno di nient'altro.
Se non purifichiamo ed eleviamo passo dopo passo le motivazioni con le quali siamo giunti sul sentiero evolutivo, non potremo progredire di tappa in tappa e non raggiungeremo mai il fine ultimo.
Questo scopo è la quintessenza della vita, è la pura Bhakti o shuddha Bhakti, non quella contaminata da desideri di gratificazione sensoriale, onore personale, potere, ecc.
Krishna spiega in Bhagavad-gita IX.2: il sentiero del dharma permette di conoscere la nostra autentica eterna natura e si applica con gioia. Anche solo un passo su questo sentiero permette di liberarci dalla paura più temibile. I benefici che conseguiamo man mano che evolviamo, prima ancora di giungere alla meta, non dovrebbero però distrarci dallo scopo da conseguire.
Perché fermarsi a metà del viaggio? Significherebbe condannarci a rimanere dentro il penitenziario della prakriti scandito da nascite e morti ripetute, e questo può avvenire sia che conosciamo o non conosciamo i Veda, anche se siamo arrivati fino al 90% del percorso.
Il viaggio prosegue fino allo scopo ultimo solo se siamo in grado di sostituire le nostre motivazioni iniziali con altre sempre più purificate ed elevate. Le prime risultano inadeguate per raggiungere lo stadio ultimo dal quale non si cade più, dove gli effetti dei guna non afferrano più la persona ormai stabilita in una Bhakti irreversibile.
Questo perfezionamento è reso possibile dal continuo rinnovarsi delle nostre motivazioni. Quando in noi si scontrano le tendenze della virtù e del peccato, vinceranno quelle che noi scegliamo di nutrire di più. Occorre fede, perseveranza, determinazione nel conseguimento del puro Bene. E anche quando facciamo scelte per rafforzare l'angelo che è in noi, per superare i nostri condizionamenti e dipendenze, non sarà comunque un viaggio senza ostacoli.
Gli ostacoli più grandi non provengono mai dall'esterno, ma derivano dalle coazioni a ripetere prodotte dalle attività distruttive che abbiamo compiuto in passato. Il cammino evolutivo non è facile, ma coloro che vogliono veramente fare sul serio, che sono genuinamente desiderosi di liberarsi dai condizionamenti, possono riuscirci se si impegnano al loro meglio e se al contempo ricercano rifugio in Dio con un abbandono fidente.
Nella Bhagavad-gita VII.14. Krishna spiega: i guna sono mie energie divine, molto difficili da superare, ma se vi abbandonate a Me ne varcate facilmente i limiti. È l'abbandono fidente e amoroso che rappresenta la nostra speranza di salvezza: abbandonarsi a Dio come ci si abbandona al più caro degli amici, al più dolce tra gli amanti, al nostro Protettore e Salvatore. Questo abbandono non è possibile se non si pratica la purezza, se non si diventa umili, se non ci si comporta in maniera trasparente.
Krishna è il Signore e il Protettore di coloro che sono sattvici, che Lo pregano ininterrottamente senza fini egoistici. Nel loro cuore Krishna distrugge tutte le coazioni a ripetere generate dalle vecchie tendenze. Dunque, per riuscire a praticare l'abbandono e per accogliere la misericordia divina, occorre in prima istanza mettere in moto la nostra purificazione.
E' per questo che la sadhana non può essere un optional. La costante della nostra vita dovrebbe essere la continua purificazione dei nostri desideri, pensieri, parole, sentimenti, azioni.
La vita ha pieno valore nel momento in cui è dedicata a questa purificazione che, passo dopo passo, per misericordia divina, ci consente di realizzare in maniera piena l'amore immortale. Realizzato l'amore vero e fatto nostro in maniera irreversibile nel cuore, non saremo più toccati da ciò che è esteriore, non farà più differenza dove si vive, se in un corpo di materia o in corpo di luce, perché la persona innamorata di Dio trae la più completa soddisfazione dal servire in stato di devozione pura.

Matsyavatara dasa

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