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Realizzare il senso e la funzione evolutiva della morte

Milano, 17 aprile 2011

Siamo a Milano. In una bella giornata primaverile, in cui la Natura ci parla di vita e rinascita, ci incontriamo con Shrila Gurudeva per riflettere sul senso e sull'utilità evolutiva della morte. Ci viene data l'opportunità di una meravigliosa scoperta! La morte ci fa paura solo perché non la conosciamo.

Shrila Gurudeva:

“Se rimandiamo la riflessione sul tema della morte, operiamo contro di noi.

Se la morte è l'unico fatto certo della vita (nella vita ci può capitare di tutto, meno che non morire!), perché questo unico dato certo non viene preso sul serio come merita? Perché non viene colta l'occasione per approfondire una riflessione in merito? Perché si vive come se la morte non ci fosse? Perché tendiamo a non prepararci in previsione di questo unico fatto certo e ci occupiamo di tutt'altro, quando tutto il resto è discutibile e solo probabile? Ci si prepara per diventare questo o quello, per imprese che non è neanche certo che possano farci conseguire il risultato prefisso, mentre il viaggio della vita ha sicuramente un epilogo e questo epilogo è la morte. Non vi appare strano il fatto che le persone vivono come se la morte non ci fosse? La morte viene ignorata o rimossa solo perché ci fa paura ed è la paura ci fa distrarre da questo reale problema. Ma che frustrazione quando accantoniamo un problema invece che risolverlo!

Se non ci occupiamo del problema, certo la soluzione non arriverà mai. La persona che si chiude nelle sue paure, diventa come una bestia in trappola.

In natura tutto è morte e rinascita. Tutto muore per rivivere. In realtà, esiste soltanto la vita. E allora che cos'è la morte? Un incidente occasionale, un fatto da rimuovere come estraneo alla vita? Se pensassimo così, ci inganneremmo. Nascita e morte in un essere umano rappresentano l'alfa e l'omega, il pilastro iniziale e finale della sua vita. Ma di quale vita stiamo parlando? Stiamo prendendo in considerazione la vita incarnata, ma non esiste soltanto la carne. Dunque la morte riguarda tutto l'essere o solo la carne?

Per rispondere a questa domanda occorre fare un lavoro approfondito su noi stessi, per ascendere ad un punto di vista che travalica le mere percezioni dei sensi. Le persone prese dal vortice delle esperienze sensoriali sono agitate, ansiose, disturbate, spintonate dagli impulsi come una bilia nei vecchi flipper. Muovono le braccia e credono di volare. Si agitano e credono di agire.

Chi si affeziona alle emozioni effimere, prodotte dall'incontro dei sensi con i loro oggetti, brucia il tempo a sua disposizione e perde la possibilità di vivere in serenità. La serenità è uno stato di pace mentale, come ci spiegano i Veda, i primi testi scritti dell'umanità, eccelse opere di visione metafisica e consapevolezza spirituale. Le onde delle acque mentali sono provocate dai pensieri e dalle emozioni e se queste acque non diventano calme, non si può capire cosa ci sia sul fondo della coscienza. Dunque uno dei presupposti fondamentali per riflettere in maniera approfondita e costruttiva, è non avere una mente agitata. Una mente agitata è per definizione un ostacolo alla comprensione, che dire quando si tratta di comprendere fenomeni così alti e sottili come la morte. Occorre liberarsi da quella gabbia senza confini che è la percezione sensoriale con il conseguente turbinio di emozioni e pensieri condizionati.

Matsya Avatara Prabhu in un Seminario a Milano

Ognuno di noi è ad un certo livello di consapevolezza come esito delle proprie scelte.

Quando noi scegliamo di aderire ad un dato pensiero o desiderio, piuttosto che ad un altro, e andiamo nella direzione di realizzarlo, facciamo una scelta che determina non solo chi siamo ma anche chi saremo.

Come spiega la Bhagavad-gita, dhira, il saggio, è colui che non teme la morte, perché ha visto e sperimentato la vita, e perciò si rende conto che la morte è solo un passaggio da uno stato di esistenza ad un altro.

Ancoratevi alle vostre esperienze. Dove è andato il vostro corpo da infanti? Il vostro corpo di adesso non è certo quello di quando eravate bambini. Biologicamente parlando, avviene un ricambio continuo, una continua rigenerazione, un ciclo continuo di nascite e morti.

Secondo la prospettiva indovedica e delle grandi tradizioni spirituali, al momento della morte sopravviveremo al nostro corpo, a questa attuale struttura della materia, come già in questa vita numerose volte siamo sopravvissuti al mutare di quest'ultima (si veda Bhagavad-gita, secondo capitolo).

Come spiega la Gita, titikshava è colui che sa osservare i fenomeni senza esserne travolto, che sa arricchire il proprio punto di vista con la propria ed altrui esperienza senza essere fagocitato dall'apparenza o dalle onde emotive e psichiche.

Le percezioni sensoriali e una mente agitata sono per la stragrande maggioranza delle persone limiti invalicabili per ascendere al livello di dhira e titikshava, per comprendere il senso e l'utilità evolutiva della morte.

Aristotele descriveva tre categorie di realtà: il mondo sensibile, il mondo intellegibile e la realtà metafisica. Il problema della morte può essere risolto rimanendo sul piano del mondo sensibile? No, perché la morte non è un fenomeno comprensibile attraverso i sensi o attraverso gli strumenti logici basati sull'esperienza sensoriale. Occorre accedere ad un altro livello, quello spirituale; l'esperienza materialistica o la logica che proviene da una concezione materialistica della vita, non possono niente nei confronti della morte.

Attraverso una prospettiva autenticamente spirituale, realizzeremo che la materia non è in contrapposizione allo spirito; è una realtà che fa parte del progetto cosmico universale e con la quale dobbiamo saper interagire in maniera costruttiva. Se ci predisponiamo in maniera idonea, scopriamo che non è un ostacolo e che non è contro di noi.

Il tempo fuggevole è la caratteristica della nostra immanenza in quanto esseri incarnati. Dunque non possiamo rimandare l'approfondimento sul problema della morte, perché il tempo scorre e va, e dobbiamo utilizzarlo al meglio per portare chiarezza e luce in noi.

Nascita e morte scandiscono la vita di tutti gli esseri. Comprendere il senso di questo ciclico alternarsi, rappresenta un importante passo evolutivo. Possiamo imparare a stare di fronte alla nostra morte come stiamo di fronte alla nostra nascita.

All'inizio dell'opera “Le Confessioni” di Sant'Agostino, si legge: “L'uomo è responsabile della propria morte”. Nella Gita leggiamo che l'essere non nasce né muore, è increato, non nato, primordiale, è da sempre per sempre, non muore quando il corpo muore. Potrebbe apparire come una formula apodittica o dogmatica, ma nella Gita Krishna spiega le ragioni di questa affermazione. L'anima incarnata posa il proprio corpo come una persona lascia un vestito vecchio per indossarne uno nuovo. Da qui l'utilità della morte, considerata dono equivalente o forse persino più grande di quello della nascita, perché ci permette di iniziare un nuovo viaggio, con strumenti più efficienti ed efficaci.

Fare un progetto per la nostra morte, è il progetto migliore che possiamo fare per la nostra vita.

L'esperienza dell'eternità della vita e dello stato transiente dell'esistenza incarnata, la si può fare cercando di estendere i confini della nostra mentalità limitata dai pregiudizi, dai condizionamenti, dai nostri attaccamenti.

Su questi fondamenti di conoscenza, si dovrebbe impostare la propria relazione di aiuto a chi sta affrontando l'evento malattia e morte. Chi vorrà predisporsi per aiutare gli altri, avrà da interagire con le istanze ideali e i bisogni materiali dei propri interlocutori. L'essere umano è infatti un coacervo di desideri per l'immanente e di bisogni e desideri per la realtà trascendente.

Se cerchiamo di comprendere e favorire il viaggio che ogni essere sta facendo, a prescindere dal corpo in cui sta viaggiando, ci avviciniamo ad una predisposizione e stato d'animo che ci permettono di affrontare il difficilissimo tema della morte. La morte è un calcio in faccia alla logica. È ciò che di più illogico si possa immaginare. Si fa di tutto per costruire cose e relazioni in questo mondo, e poi arriva la morte e in un attimo porta via tutto quel che credevamo nostro per sempre o certezza nella quale investire tutte le nostre energie.

In realtà nasciamo nudi e ce ne andiamo nudi da questo mondo. La vita non è fatta per accumulare beni terreni ma per evolvere, per realizzare le nostre migliori potenzialità, non quelle umane ma divine. Vi propongo adesso un cambio radicale di punto di vista sulla morte, quasi una rivoluzione di pensiero, per fare una scoperta meravigliosa che può trasformare e migliorare la vostra vita. Vi propongo di guardare alla morte come ad una vera, autentica amica, come ad un'occasione straordinaria per fare un salto di qualità.

Imprigionati in un corpo, ci possiamo realizzare limitatamente all'efficacia degli strumenti di cui abbiamo a disposizione in quel corpo. Dunque la morte può essere una meravigliosa opportunità per fare nuove scoperte con corpi più forti e capaci. Ciò che può renderla tale è la nostra consapevolezza, non certo il nozionismo o la mera cultura. La cultura deve diventare saggezza, attraverso un'esperienza costruttiva ed evolutiva.

Qual è la più grande disgrazia della vita? Vivere da inconsapevoli.

E qual è la più grande fortuna della vita? Vivere da consapevoli.

Quando l'essere umano non è più tirato verso il basso dai bisogni del proprio soma e non è più turbato e trascinato dalla propria vorticosa psiche, la sua consapevolezza spirituale emerge e con essa emerge il senso della vita.

Senza realizzare il senso, manchiamo di essere noi stessi.

La morte ha un suo scopo, ma noi spesso lo ignoriamo perché siamo ossessionati da progetti così nani e limitati che diventano idee fisse e che si radicano in noi come parassiti impedendoci di comprendere l'utilità evolutiva della morte.

Ma la consapevolezza si può sviluppare!

Siamo chiamati a dare senso alla vita, e questo è possibile solo se valorizziamo l'utilità della morte. Solo se realizziamo noi stessi, quel sé spirituale che non muta, che è eterno, distinto dagli strumenti psicofisici con i quali facciamo esperienza nel mondo.

La felicità si conquista passo dopo passo, man mano che evolve la nostra consapevolezza (si veda Bhagavad-gita IX.2).

La conoscenza è lo strumento che più ci serve nel viaggio della vita verso l'amore".

Il Seminario prosegue con domande e risposte e nel pomeriggio con un'intensa esperienza di Visualizzazione meditativa.

E' un'occasione speciale per superare paure, condizionamenti, attaccamenti, solitudine, sofferenze morali.

Grazie a Shri Shri Guru e Krishna per il loro aiuto costante e per l'ispirazione che ci offrono per realizzare la Vita anche nella cosiddetta morte!

Con affetto,

vostra servitrice,

Madhavipriya dasi

Partecipanti al seminario

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